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ONLY BE BARCELLONESE

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Architettura russa 1915-1935 al Caixaforum di Barcellona

Fino al 15 aprile presso il Caixaforum di Barcellona si può visitare un’interessante mostra sull’architettura e l’arte d’avanguardia nell’Unione Sovietica tra gli anni 1915 e 1935. La mostra gira intorno a 250 fotografie, disegni e plastici appartenenti al Museo Statale d’Architettura Schusev di Mosca e al Museo d’Arte Contemporanea di Salonicco. Quest’interessante mostra ci porta in un viaggio alla scoperta di maggiore sviluppo architettonico e urbanistico dell’ex Unione Sovietica, la cui grandiosità esprime una delle epoche più prolifiche della storia dell’arte. Sebbene marcata dall’inizio del periodo stalinista e l’inizio delle purghe contro gli oppositori, è anche il periodo di grande crescita economica e contraddittoriamente, con il sogno della rivoluzione proletaria che aspirava a rompere le catene dell’oppressione e la povertà nel mondo. Durante questo periodo di grande crescita, le città sovietiche furono ridisegnate in funzione del progetto politico che voleva trasformare una società agraria in una società industriale. Si costruiscono i grandi edifici del potere centrale, i grandi viali e si costruisce la metropolitana di Mosca. L’architettura, fortemente influenzata dal costruttivismo e dal razionalismo, le cui rigide linee emulavano la forza e la rettitudine del Realismo Socialista e la monumentalità utilizzato per costruire il culto della classe operaia, furono i tratti distintivi di quest’epoca. Il Costruttivismo nasce in Unione Sovietica con la Rivoluzione d’Ottobre. Le avanguardie vedranno in questa nuova società l’utopia realizzabile, dove è possibile unire l’arte e la politica in funzione di una società ideale. È così che Kasimir Malevich, burlandosi un po’ delle opere dell’architetto Alexander Rodchenko, crea il costruttivismo e una concezione dell’arte al servizio della rivoluzione. Il suo senso estetico in architettura contempla la...

Go Team a Barcellona

The Go! Team non smettono di sorpendere. Con un suono che va dal post punk, allo ska alla chitarra noise, la combinazione che mettono in scena è così high energy che ti dimentichi di essere fermo e senza renderti conto inizi a galleggiare. Il sestetto nato a Brighton, UK, è una delle band preferite di tutti i giovani ‘intensi’ che non si perdono i festival, sai a chi mi riferisco. Rolling Blackouts è il loro ultimo disco. In que genere etichettare questo nuevo lavoro, che spazia dal shoegaze ai suoni da tromba epica al miglior stile da film blackexplotation degli anni ‘70. La canzone “Rolling Blackouts” è un’ode a My Bloody Valentine senza limiti, una perla. “Back light 8 track” è un inno a un film di pugilato degli anni ’70, con urletti e voci in stile superpop. Non manacano naturalmente i dovuti campionamenti. “Secretary song” è un altro mash-up di pop 60’s con cori da dreampop. “T.O.R.N.A.D.O” è la più rap. Forse la principale caratteristica di gruppi come i Go! Team è questo impegno postmoderno a condensare nel modo più evidente tutti gli spazi sonori da cui provengono. In altre parole, è una mostra della nostra epoca, mettere in evidenza l’origine di ogni canzone e stile, è come avere un campionario disposto a tutti gli ascolti, nel modo più  kitsch, senza altro obiettivo che l’íntrattenimento. Mi fermo e paragono tale fenomeno con tutte le interpretazioni di canzoni dal blues, al rockabilly al beat che vari gruppi in tutti i continente realizzavano tra gli anni ’50 e ’60. Ad esempio, The train kept a rolling di Johnny Burnette, che...

Ibon Aranberri presso la Fundació Antoni Tàpies

Di recente il Museo de Arte Contemporáneo de Barcelona (MACBA) ha acquistato un’opera datata al 2004 e consistente nella ricerca documentata attraverso fotografie e testi vari di un’azione consistente nella chiusura, facendo uso di una struttura metallica, dell’accesso a una grotta situata in un luogo determinato situato sulle montagne dei Paesi Baschi, la cui particolarità è quella di presentare un piccolo passaggio per il transito delle tartarughe. Impossibile tuttavia il passaggio per le persone. Si tratta di un’opera che aspira a significare e ricodificare il paesaggio attraverso un intervento sullo stesso incentrato sulle nozioni filosofiche dei simboli e dell’identità. Nelle succinte parole dell’autore di quest’opera “la chiusura della mia grotta non riguarda la natura, bensì la coscienza umana e questa è una differenza fondamentale… Anche se potrebbe sembrare violento non lo è. Riguarda solo la nostra immagine della sacralità. Ha una funzione simbolica”. Il nome dell’intervento è Ir. T. Nº513 zuloa. Extended Repertory e quello del suo creatore Ibon Aranberri (Itziar-Deba, 1969), un enigmatico artista che, conosciuto solo in parte, negli ultimi anni ha conquistato un sempre maggiore prestigio internazionale grazie a lavori simili a questo, opere concepite in forma di progetti situati tra la narrativa documentaristica e il formalismo astratta, dove il materiale artistico essenziale è rappresentato dalla natura e dalla storia. Finalmente, dopo diversi spostamenti (la mostra cominciò a essere preparata nel 2004),  presso la Fundació Antoni Tàpies de Barcelona (calle Aragó 255, http://www.fundaciotapies.org/site/)  ), è ora possibile visitare fino al prossimo 15 maggio una retrospettiva supervisionata da Nuria Enguita Mayo, incentrata sugli ultimi dieci anni della sua attività artistica, compresa Ir. T. Nº513 zuloa. Extended Repertory,...

Un secolo di circo: mostra all’Arts Santa Mónica

Il circo come fenomeno culturale è stato rivalutato a poco a poco grazie al riconoscimento delle complesse arti circensi. Sebbene in molte occasioni il circo sia stato visto come luogo di sfruttamento sia degli uomini sia degli animali in nome dello spettacolo, la valorizzazione della sua estetica e il suo apporto alle Belle Arti ci invitano a studiarlo più a fondo. Spingendosi al di là dello spettacolo tacciato di crudeltà, ci appare il magnifico lavoro dei componenti del circo, le cui doti artistiche si uniscono a uno stile di vita che necessita una grande capacità di adattamento e molti sacrifici. Itinerante, effimero e diverso, il circo attraversa grandi città e piccoli paesi presentando per una o più notti un mondo allegro e abile. La realizzazione del tendone e di tutto ciò che avviene al suo interno comporta enorme impegno. I circensi sono contemporaneamente figli e creatori del circo stesso: funamboli, trapezisti, giocolieri, maghi e pagliacci, ogni persona ricopre un ruolo all’interno della micro comunità circense. Spesso sono famiglie intere quelle che lavorano al suo interno, a testimonianza che il circo è un vero e proprio stile di vita che si tramanda di generazione in generazione. Raccontare queste storie, o almeno una di queste, è l’obiettivo della mostra “Un secolo di circo”, nella quale è possibile ricostruire la carriera di Paulina Andreu Rivel, figlia del famoso pagliaccio dai capelli rossi, nato a Barcellona: Charlie Rivel*. Anche se non famosa come il padre, Paulina Andreu Rivel vanta un’intensa carriera nel mondo del circo. Tra poco compirà novanta anni, festeggiando quasi un secolo di esperienza artistica circense. La collezione fotografica, esposta all’Arts...

Neil Harbisson:l’artista-cyborg que sente i colori

Avete mai pensato come sarebbe il mondo senza i colori? Vedere in bianco e nero (e grigio) è una malattia conosciuta come acromatopsia e Neil Harbisson è nato con questa malattia ereditaria, ma è comunque riuscito a seguire la sua carriera artistica grazie ad un sensore chiamato “eyeborg” che lo ha trasformato nel primo cyborg del mondo. Harbisson è nato a Londra nel 1984 ed è cresciuto a Barcellona (Matarò) , dove  ha studiato al Alexandre Satorras. Qui, grazie alla sua particolare condizione, gli permisero di utilizzare nelle proprie opere solo il bianco il nero ed la tonalità grigia. A 18 anni si è trasferito a Dublino per poi continuare i suoi studi in campo musicale al Dartington College of Arts, dove ha studiato composizione e piano. Fu durante questo periodo che la sua vita è cambiataradicalmente, grazie all’incontro con Adam Montndon, un professore di cibernetica presso l’Università di Plymouth, esperto in tecniche per lo sviluppo dei sensi attraverso le tecnologie. I due hanno lavorato insieme per creare uno strumento denominato “eyeborg”, un sistema cibernetico capace di riconoscere gli impulsi luminosi e trasformare i colori in note musicali. L’ “eyeborg” ha ricevuto a Bristol, nel 2004, il premio britannico dell’innovazione. Lo stesso anno ottenne il primo premio europeo Interface Design Europrix Multimedia Top Talent Award a Vienna. Grazie a questo apparecchio Harbisson ha iniziato a percepire il mondo circostante in modo diverso, combinando la sua passione per la musica e le arti visive, creando una serie di opere che sono delle rappresentazioni pittoriche di pezzi musicali e viceversa. “Adesso non vedo i colori, li sento. Il mio eyeborg trasforma ogni...

Nacho Vegas lascia le droghe e si esibisce a Barcellona

La Zona Sucia è il suo quinto disco, con il quale torna alla ribalta dopo tre anni dal suo geniale Manifesto Desastre. A me piace, questo asturiano. Sin dai suoi esordi, vale a dire sin da Manta Ray, ho seguito con interesse tutto ciò che questo artista ha fatto con convinzione quasi religiosa.  Con questo non voglio dire che i miei gusti musicali si spostano verso l’indie. Giammai, io sono più blues del blues. Ciò che colpisce è la sua capacità di creare personaggi immergendoli nelle sue tematiche profonde, e il tutto con una semplicità che suggerisce intimità e, come dice una mia amica, ti abbraccia e ti riscalda. La Zona Sucia è quell’area della pista di Formula 1 dove rimangono i residui. Di che tratta allora questo disco? Indovinato! Della perdita, del disinnamoramento, della fine del romanticismo, dell’altro che va via. Eppure La Zona Sucia non ha niente di oscuro e, nonostante l’ombra, sembra brillare di speranza, sembra illuminare. Disco di appena 44 minuti, perfetto per essere contenuto sulle due facce del vinile, La Zona Sucia segna un punto di maturità importante nella carriera musicale di Nacho Vegas, un punto di sintesi e di molta energia. Come sopportare il disinnamoramento in modo positivo?  Basta ascoltare brani come “La gran broma final”, “Reloj sin manecillas”, “Perplejidad” per avere la risposta. “Lo que comen las brujas” ti farà piangere pensando a tua madre appena tornata da far compere con dei dolci in mano. Fidati. È un caso che il disco sia uscito il 14 febbraio. Nacho dice che ha cercato di evitarlo, ma come ben sappiamo, tutto quello che si...

LP11 a Barcellona

Il corpo come centro di espressione ed azione, questioni estetiche come in che modo interviene lo spettatore durante la performance, qual è il limite tra performer e la sua audience: saranno questi i temi centrali di LP11. Più che un festival ‘intrattenimento , l’LP 11 si propone un dialogo esaustivo da diversi punti di vista della performance, da diverse attività presso il CCCB (Centro di Cultura contemporanea di Barcellona), La Porta e il Mercat de les Flors. Tra le diverse cose ci sarà il lavoro di Tony Orrico che con il suo pezzo Penwald 2:8 circles esplora concetti di movimento e disegno, utilizzando il proprio corpo come mezzo di una serie di circoli e figure geometriche realizzate sul palco e fa riferimento a processi di meccanica fisica e di scrittura: i disegni sono scritti dal un corpo che si muove sul palco. Fantastico! Un altro spettacolo da non perdere è quello del geniale Antoni Karkowski, che, oltre a presentare al pubblico il suo spettacolo Horizon 2, sarà anche protagonista di una conferenza. L’artista polacco, ex membro del Grupo A, pittore e performer, realizza opere che sono quasi poetiche, servendosi di figure archetipiche e rituali e materiali che interagiscono con il corpo. Il mio principale interesse nei suoi confronti è dato dal fatto che il suo lavoro attraversa diversi contesti culturali: in un mondo sempre più separato e con molteplici spazi virtuali che si generano dal ciberspazio, l’identità deve difuminarsi. Con materiali che vanno dall’acqua, la carta, la cera ed altri che puoi trovare sulla mensola di una casa qualsiasi , Karkowski richiama l’attenzione sulle sue particolarità e il nostro...

Il Concierto Aranjuez al Palau de la Musica a Barcellona

Il Palau de la Musica Catalana è probabilmente la più bella sala concerti di tutta Barcellona. Le fa concorrenza solo il tempio dell’opera, il Liceu. È un vero privilegio il poter assistere ad un concerto in questo bellissimo edificio modernista, disegnato dall’architetto Lluís Domènech i Montaner nel 1908. Il solo Palau merita di essere visitato Vi consiglio di prendere due piccioni con una fava e scoprire le meraviglie del Palau assistendo ad un concerto classico. Il Palau si può altrimenti visitare solo con una visita guidata, che costa 12 Euro. Meglio investire i soldi per una serata all’insegna della musica e scopri il Palau in tutto il suo splendore. Al Palau si tengono concerti quasi ogni sera. Ospita inoltre diversi festival musicali. Le occasioni per uno spettacolo di qualità non mancano quindi. Per il prossimo mese di marzo vi consiglio comunque “Simfonietta from Sofia”. Questo gruppo di musicisti suoneranno alcuni pezzi chiave della tradizione musicale spagnola: Concierto Aranjuez (Rodrigo) Carmen (Bizet), e El Amor Brujo (Falla). L’assolo di chitarra Concierto Aranjuez sarà suonato dal maestro chitarrista Rolando Saad, che ha al suo attivo più e concerti del Concierto Aranjuez di ogni altro chitarrista spagnolo. I biglietti per il concerto possono essere acquistati diettamente al Palau de la Musica oppure online(vedi sotto). Il Palau è una sala piccola e non esistono posti a sedere pessimi, per i migliori però il  prezzo va dai 34 ai 50 euro. Per un’alternativa più economica vi consigliamo il secondo piano, o i lati che costano all’incirca 22 euro. Organizza bene la serata; vieni con un buon anticipo in modo da poter assaggiare le tipiche...

Il Jazz a Barcellona

Molto più di ogni altra musica, i barcellonesi sembrano amare il jazz.. D’estate ci sono concerti gratuiti nei parchi e durante l’anno , nella capitale catalana, si organizzano diversi jazz festival e quasi ogni giorno della settimana si può facilmente assistere ad una concerto. Vediamo queli sono i locali jazz più rinomati di Barcellona. É il primo locale che vi consigli se volete passare una serata all’insegna del jazz. Il Jamboree offre musica dal vivo 7 giorni su sette, con una jam session i lunedì. I biglietti per i concerti costano tra i 10 e i 15 euro. Questo fa si che il Jamboree sia frequentato da diversi tipi di gente. Potete consultare il programma on line: http://www.masimas.com/jamboree/ LUZ DE GAS Questo elegante jazz club è famoso per il suo ambiente chic. Gli spettacoli al Luz de Gas hanno di solito due sessioni, una alle 21 e un’altra verso la mezzanotte o l’una. Qui hanno suonato alcuni grandi nomi della musica come i The Alan Parsone Project, Bonnie Raitt e Noa. Il prezzo del biglietto d’entrata è abbastanza variabile e dipende ovviamente da chi vi si esibisce. (tra i 10 e i 20 euro o anche di più). Per i prossimi concerti consulta la loro web http://www.luzdegas.com/ HARLEM Il Harlem è un po’ più grezzo e anche per questo motivo molto popolare tra i barcellonesi. Non fatevi confondere dal nome, il Harlem ospita anche concerti di swing e rock. È un locale economico e i biglietti costano intorno ai 5 euro. Ci sono di solito due sessioni, la prima alle 23 e la seconda all’1. L’Harlem apre da martedì...